I principi fondamentali su cui si basa il Sistema Sanitario Nazionale dalla sua istituzione sono l’universalità, l’uguaglianza e l’equità, con lo scopo di garantire a tutti i cittadini un accesso equo alle cure, indipendentemente dalla loro situazione economica e sociale. Per capire se questo sistema oggi sia applicato coerentemente rispetto ai suoi obiettivi e in modo sostenibile nel tempo, occorre analizzare come vengono distribuite le risorse tra sanità pubblica e privata.
Spesa sanitaria pubblica e privata
La spesa sanitaria totale nel 2023 ha raggiunto i 176 miliardi di euro. Questo importo viene finanziato principalmente da tre fonti:
- la Pubblica Amministrazione;
- le assicurazioni e altri enti privati;
- i risparmi propri dei cittadini, noti come “out-of-pocket”.
Questi fondi vengono destinati a cliniche e ospedali, ovvero gli enti erogatori dei servizi sanitari, che possono essere pubblici o privati. È interessante notare come gli enti sanitari privati siano finanziati in parte dalla Pubblica Amministrazione (se accreditati) e in parte direttamente dai cittadini attraverso l’out-of-pocket.
Si può quindi costruire una tabella per capire chi finanzia e chi eroga i servizi.
Chi finanzia la spesa sanitaria e chi eroga le prestazioni?
La spesa sanitaria totale nel 2023 è stata così suddivisa:
- la Pubblica Amministrazione, che compone il 73,8% del totale (129.975 su 176.153 milioni di euro) ed è chiaramente la fonte predominante, a conferma del forte carattere pubblico del sistema sanitario italiano;
- la spesa privata out-of-pocket, che rappresenta il 23,1% della spesa totale (40.641 su 176.153 milioni di euro) ed evidenzia un impatto significativo sui bilanci familiari;
- la spesa privata intermediata, che copre solo il 3,1% della spesa complessiva (5.537 su 176.153 milioni di euro) e indica una presenza relativamente marginale delle assicurazioni sanitarie nel sistema italiano rispetto ad altri Paesi europei.
Un confronto tra 2022 e 2023
La spesa sanitaria totale è aumentata dal 2022 al 2023 di circa lo 0,45%. Tuttavia, guardando alle fonti di ripartizione, notiamo come la Pubblica Amministrazione sia diminuita del 0,41% rispetto all’anno precedente e quindi abbia minore incidenza, mentre le assicurazioni sanitarie obbligatorie e i regimi di finanziamento volontari sono aumentati rispettivamente del 4,64% e del 5,28% rispetto all’anno precedente, e anche la spesa “out-of-pocket” è aumentata, seppure in maniera minore, del 1,72%. Quindi l’aumento nella spesa sanitaria totale è stato sorretto principalmente da queste ultime tre voci.
Confrontando la ripartizione nel 2022 e nel 2023, la differenza della ripartizione è ancora più chiaro.
In particolare, rispetto a 10 anni prima, la spesa diretta da parte dei cittadini è più alta del 24,9%. L’aumento dei costi diretti a carico delle famiglie rischia di accentuare le disuguaglianze nell’accesso alle cure sanitarie e creare una disparità tra chi può permettersi l’accesso al privato e chi, invece, deve fare affidamento esclusivamente alla sanità pubblica, fronteggiando lunghe liste d’attesa e cure non sempre tempestive.
Un confronto con l’Europa e l’equilibrio con il PIL
Per valutare se la spesa sanitaria è adeguata, è utile osservare due indicatori: il rapporto tra spesa sanitaria pubblica e PIL, e il confronto di questo dato con quello di altri Paesi europei simili al nostro.
Il rapporto tra spesa sanitaria pubblica e PIL, che rappresenta la percentuale della ricchezza nazionale investita nella sanità pubblica, ha mostrato un trend decrescente dal 2020 in poi. Secondo le previsioni del Piano Strutturale di Bilancio di medio termine (PSB), questo valore scenderà dal 6,4% nel 2024 al 6,2% nel 2027, posizionandosi al di sotto della soglia del 7% raccomandata da Ministero della Salute, ISTAT e OMS, necessaria per garantire un sistema sanitario efficace.
Anche nel confronto con l’Europa, l’Italia risulta tra i Paesi che investono meno in sanità pubblica. Nel 2020, anno in cui in Italia la spesa sanitaria rispetto al PIL ha raggiunto il picco, il rapporto si attestava al 7,3%, un dato inferiore alla media europea dell’8,9% e distante dai valori di Germania (10,7%), Francia e Regno Unito (entrambi al 10,4%).