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Differenze tra Nord e Sud nell’accesso alle cure: le “migrazioni sanitarie”

La sanità del Sud Italia presenta problemi strutturali che spingono molte persone a cercare cure e interventi medici a Nord, creando un fenomeno chiamato "migrazione sanitaria".

Di fronte a lunghe liste d’attesa, infrastrutture obsolete e una generale scarsità di risorse, molti cittadini delle Regioni del Sud si spostano verso Nord per accedere alle cure necessarie, soprattutto in grandi città come Milano, Torino e Bologna. Questa tendenza, nota come “migrazione sanitaria”, è alimentata dalle enormi disuguaglianze nell’accesso alle cure mediche tra le regioni del Nord e quelle del Sud.

I numeri delle migrazioni sanitarie

I dati diffusi a febbraio dalla Fondazione GIMBE nel report “La mobilità sanitaria interregionale nel 2020” inquadrano il fenomeno delle cosiddette “migrazioni sanitarie” con numeri e statistiche. Le Regioni più attrattive per i pazienti del Sud sono Emilia Romagna, Lombardia e Veneto; questi territori attraggono da soli quasi la metà (49,4%) della mobilità attiva. Seguono Lazio (8,4%), Piemonte (6,9%) e Toscana (5,4%).

Il report evidenzia per la prima volta anche una preferenza per le strutture private: più di 1 viaggio su 2 (52,6%) avviene con destinazione una struttura sanitaria di natura privata, che può essere convenzionata o meno. Questo spiega perché accanto a Regioni in cui la sanità privata eroga oltre il 60% delle prestazioni erogate a cittadini provenienti da altri territori, ce ne sono altre in cui le strutture private si rivolgono quasi esclusivamente ai cittadini residenti. I pazienti si lasciano alle spalle le cliniche locali per raggiungere i grandi centri abitati del Nord, alla ricerca di servizi sanitari migliori. Ai territori del Nord si aggiunge la Regione Lazio, che con alcune strutture private convenzionate (su tutte il policlinico Gemelli, il Campus Biomedico e l’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma) si è distinta per la qualità dei servizi sanitari offerti. Solo nel 2020 queste “migrazioni” hanno comportato il trasferimento di 3,3 miliardi di euro dalle Regioni meridionali a quelle del Nord, amplificando ulteriormente il divario.

“Ci sono due aspetti che emergono in maniera significativa da questo rapporto”, spiega Nino Cartabellotta, presidente della fondazione GIMBE. “I flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord: in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E oltre la metà delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale finisce nelle casse delle strutture private, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica”.

Riqualificare la sanità nel Sud

Le Regioni più colpite dalle migrazioni in uscita sono la Campania, la Sicilia e la Calabria, territori dove il sistema sanitario pubblico è carente e le liste d’attesa per visite e terapie sono molto lunghe. Molti pazienti non riescono ad ottenere le cure adeguate, e ricorrere alla sanità privata può essere una soluzione solo in alcuni casi: se non ci si può permettere una polizza salute e non si ha accesso a strutture convenzionate, i costi sono altamente proibitivi.

Allo stesso tempo, anche spostarsi verso Nord richiede un sacrificio finanziario e psicologico non indifferente, che spesso rende difficile o impossibile seguire percorsi di terapia o sottoporsi a visite ripetute. “Ci sono milioni di italiani che non possono esigere un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione: quello alla salute”, sostiene Cartabellotta. E le conseguenze sulla salute dei pazienti coinvolti possono essere gravi.

Tuttavia, la mobilità sanitaria è solo una delle conseguenze del profondo dislivello tra Nord e Sud, che riguarda non solo l’accesso alle cure mediche, ma anche il livello di istruzione, le opportunità lavorative e il tasso di povertà. La soluzione a questi problemi non può essere data solamente dall’aumento delle risorse economiche destinate alle regioni del Sud, ma anche da investimenti nelle strutture, nelle attrezzature tecnologiche e nelle risorse umane, e da politiche mirate, specialmente nelle aree più disagiate e svantaggiate. Solo in questo modo si potrà garantire un sistema sanitario all’altezza delle aspettative dei cittadini e coerente con il principio fondamentale dell’uguaglianza sanitaria, che prevede un accesso equo e giusto alle cure in ogni parte del Paese.

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